Ancora oggi e domani è possibile visitare la mia personale al Museo del Bijou di Casalmaggiore Cr.
I pezzi esposti sono collane orecchini spille anelli bracciali solo come pretesto, in ogni oggetto ho voluto trasferire riflessioni, emozioni e speranze, nell'intento di coinvolgere l'osservatore.
Il testo critico di Claudio Franchi inserito nel catalogo esprime perfettamente ciò che ho voluto raccontare.
Visioni in margine
L'opera di Eleonora Battaggia è tutta basata sulla lettura del
"margine". Il margine di Eleonora è la visione di uno spazio
percepito dalla condizione privilegiata dell'esterno delle cose. Essere
al margine significa collocarsi nel contorno, sul bordo, quindi
con il sufficiente e critico distacco di chi aspira a nutrirsi della conoscenza
senza essere necessariamente al centro dell'attenzione. Così, Eleonora
ritrova il valore dei materiali posti al margine dalla produzione
industriale reinventandoli, si muove sul crinale di un pensiero posto al margine
della natura riscrivendone gli esiti con la propria personale prospettiva, usa
il linguaggio di un mezzo che appartiene al corpo ponendosi al margine
tra gioiello, bijou e libera espressività.
In sunto il margine di Eleonora è il luogo di una semantica
libera ma fortemente evocativa, stimolo del lavorio dell'immaginazione mirato a
restituire il senso più profondo delle emozioni, per poi affidarlo alla materia
arricchita di significati.
Nello stimolo più profondo che l’autrice dedica al suo viaggio
nelle emozioni la materia scelta
rafforza il senso e il valore della coscienza, quasi invitando a servirsi di
quest’ultima per giungere ad una
opportuna riflessione. E’ cosi che Eleonora ci prende idealmente per mano per
condurci nel viaggio delle sue visioni. I tessuti, le stoffe, i rami di
potatura recuperati con solerte attenzione e studiatamente ritagliati,
diventano viaggi di una sofferenza sottile che invita a cogliere il senso di
una natura raccontata con l’urlo silenzioso di chi difende il diritto di quella
natura ad esistere. Oppure, nel tentativo di riscriverne la storia, accudisce i
frutti del creato con la grazia di una sensibilità al femminile, metafora del rapporto
tra la madre terra e i figli, in una visione antica che non ha ancora
conosciuto la terribile attitudine della
civiltà incivile dell’uomo contemporaneo all’attitudine del distruggere.
L’operare di Eleonora è pari al controllo critico di un
osservatore che non si accontenta di guardare al mondo con gli occhi della
superficie. Per meglio sviluppare la propria posizione riflessiva si serve di
una lettura del mondo che non può essere censurata dal potere, tanto da muoversi nel terreno impervio del
linguaggio di denuncia, raccontando il processo della natura e dell’opera, ma
al contempo esprimendo tanto il suo entusiastico inno alla vita quanto il
proprio dissenso nei confronti di chi la natura la calpesta senza riguardo
alcuno. Così l’opera diviene prima metafora del racconto della nascita, quando
Eleonora affida ad alcuni avanzi di filato e a frammenti di plastica di riuso
il compito di rappresentare Infiniti organismi minuscoli (che) hanno liberato ossigeno e la vita complessa si è sviluppata…. ,
soffermandosi quindi sull’insensatezza dell’essere umano, capace di trasformare
la bellezza in discarica. Per poi compiere, al fine, il rito della rinascita,
quale auspicio sereno e positivo nei confronti della vita che per quanto
calpestata, sradicata o torturata, possiede l’inestinguibile capacità di
rigenerarsi, se solo si sanno coltivare la speranza e l’attesa.
L’azione metaforica del complesso e affascinante percorso di
Eleonora si poggia sulla rappresentazione quasi iconografica, azione che
richiede prontezza, frontalità e decisione. Tanto è vero che l’autrice non ha
riguardo alcuno quando vuole trascinarci nel dramma di una fauna marina
imprigionata dall’ostile azione dell’uomo. Quella rete che imprigiona la vita
di mute presenze, alle quali saremmo tentati di dare voce, sprigiona sentimenti
contrastanti quali la perdita, il tentativo di sopravvivere al dolore. Ma nel
racconto di Silenziose urla si legge
un barlume di rinascita: poiché dalla vita perduta si rigenera nuova vita e la
rete bianca, quasi diafana e sterile, stempera il senso del dramma, rievocando
un senso di candore primigenio, ancora incorrotto dalla violenza dell’uomo,
tanto da trasformarsi in visione di speranza.
Colpisce ancor più l’uso sfrontato del colore, trasferito nel
riguardante attraverso l’espediente emozionale che giunge allo stomaco come un
pugno ben assestato.
Colore che rafforza il valore significante della forma, pensata e
generata dalla fertile mente della narratrice per stimolare i sensi.
Così, in Deriva, la
sostanza dei ghiacci in drammatico scioglimento viene rievocata tra filamenti
d’acciaio e cellofan
rigido da imballaggi, rafforzati dalla consistenza lattiginosa di scarti di
bicchieri usa e getta. Oppure, in Zampilli,
sottili fili di nylon nero e giallo intenso fanno tornare alla mente la terribilità dei lapilli di cenere e fuoco espulsi
dall’eruzione vulcanica.
Mentre in Mare di plastica si
rafforza il valore di denuncia del colpevole e dissennato senso di perversa
autodistruzione dal quale l’uomo del nostro tempo non riesce a distaccarsi:
l’elegia del sovra-consumo incosciente,
dolente e colpevole delle risorse del pianeta si condensa in sedimenti di merci
industriali espulse dal ciclo artificiale della vita sovra dimensionata e non
sostenibile.
Nell’ampia galleria di espressività cui siamo invitati ad
assistere non possiamo astenerci dal percepire il valore di una riflessione forzata,
una sorta di costrizione veemente a rimeditare sul senso del nostro
contemporaneo esistere.
Ogni pezzo in esposizione sussurra sommessamente affinché le coscienze
collettive ne prendano finalmente atto: indossa
il racconto, fallo scivolare sulla tua pelle per capire veramente cosa voglia
dire distruggere la terra che ti ospita, impara a comprendere, divenendo tu
stesso testimone della sofferenza, rigenera il tuo senso di felicità
rispettando la natura che ti accoglie e ti circonda, accarezza e rispetta il
morbido velo di ghiaccio, il tenero e fragile filo di erba, la corteccia calda
che conserva il potere irradiante del sole.
Ecco perché le Visioni di Eleonora sono in margine: costringono lo spettatore ad essere nella centralità del
racconto, lo stimolano a percepire il reale senso di una coscienza sopita e
tramortita dalla velocità e dall’inutilità del consumo ossessivo.
Da quel margine l’autrice
elabora linguaggi di un rigore inedito che sa trasformare il dissenso in
messaggio universale e positivo.
Ogni materia usata è centellinata, recuperata e riavviata a nuova
vita dopo un pensiero meditato e coerente, come a sottolineare che in natura
nulla si crea e nulla si distrugge se quella natura si sa rispettarla.
La posizione della lateralità consente all’autrice di osservare e
raccontare meglio le dinamiche della storia del nostro mondo, poiché ella lo
guarda e non lo accetta così come è. Vuole cambiarlo, ma per farlo non può che
agire coinvolgendo un’ampia platea di attori. Ognuno di noi è chiamato a
sedersi nel palcoscenico del vivere, con lo scopo di celebrare la festa di una
rinascita annunciata e non più rinviabile. Solo così l’uomo potrà ancora aspirare
a recuperare il proprio tempo in equilibrio con le meravigliose e inimitabili
forme dell’esistenza che l’architetto della natura ci ha donato.
Claudio Franchi
Testo tradotto a cura di Jessica Favaro
Testo tradotto a cura di Jessica Favaro
Views from the Edge
Eleonora Battaggia’s work is based purely on
her reading of the margin, the “Edge”. Eleonora’s edge is the view of a space
perceived from the privileged standpoint of being outside of things. To be on
the “edge” means being at the margin, on the border, having the critical
detachment of someone whose aim is to acquire knowledge without needing to be
at the centre of things. In this way, Eleonora has discovered the value of
materials which are usually on the edge of industrial production, and by reinventing
them, in a space at the margins of nature, she has rewritten their destiny
using her own personal perspective. By means of a medium which belongs most
intimately to the body, she has placed herself on the edge existing between
jewel, bijou and free expression.
In short, Eleonora’s edge is the site of a free
but suggestive semantics, of an urge to stimulate the imagination, in order to
arouse the strongest of feelings and then leave it to the material, a material
now endowed with richer meaning.
The author guides us on a journey through
emotions, where the chosen matter reinforces the sense and the value of
conscience, almost inviting us to use this conscience in order to come to a
suitable reflection. This is how Eleonora ideally takes us by hand to guide us
through her views. She collects with industrious attention and reutilizes
fabrics, cloths, pruned branches. They become journeys of a subtle suffering
which invites us to gather the meaning of a nature told with the silent scream
of someone who upholds the right of this nature to exist. Otherwise, trying to
rewrite its history, she welcomes the fruits of creation with the gracefulness of
a womanly sensitivity, metaphor of the relationship between Mother Earth and
her children, in an ancient vision which hasn’t known the terrible attitude of
the contemporary Western man to destroy everything.
Eleonora’s way of working is like the critical
view of an observer who doesn’t content himself with a superficial look. To
develop her critical position she uses a reading of the world which can’t be
censured by power. With an objection language she narrates the process of
nature and work, and she expresses her enthusiastic hymn to life and her
disapproval of people who trample on nature. So the jewel becomes metaphor of
birth, when some yarn remnants and recycled plastic fragments come to represent
countless minute organism (which) freed oxygen and complex life developed. That’s
indirectly a representation of humanity’s foolishness, able to turn beauty into
a dump. Then rebirth comes, as positive sign for nature, who, although has been
abused and tortured, owns the inextinguishable ability to regenerate, as long
as we are trusting and patient.
The author doesn’t stand on ceremony when she
wants to show us the tragedy of the imprisoned marine fauna. The net, which
imprisons the life of silent presences, evokes contrasting feelings such as
loss and an attempt to survive pain. In Silent
Screams, however, we can perceive a ray of hope: from a lost life a new one
is generated and the white net dilutes the sense of tragedy, evoking a
primordial purity, uncorrupted by human violence. The use of colour is impudent and impressive
and it reinforces the value of the shape, thought and originated from the
author’s fertile imagination to stimulate senses.
In Adrift
the dramatic melting of glaciers is evoked by steel filaments and packaging
cellophane and waste disposable glasses. In Jets, thin black and yellow nylon
threads remind of a volcanic eruption.
In Seas
of plastic the author reinforces the denunciation of the depraved
self-destruction which modern man is unable to stop: irresponsible
overconsumption is portrayed with sediments of industrial wares, expelled by
the artificial cycle of unsustainable life.
In the wide gallery of expressiveness that we
are invited to see, we feel almost obliged to reconsider the sense of our
contemporary existence. Every exposed piece seems to be quietly whispering, in
order to make the collective conscience aware: wear the story, let it glide on your skin to understand what it means
destroying the Earth who hosts you, become witness of the pain, regenerate your
sense of happiness respecting nature which surrounds you, caress and respect
the smooth film of ice, the tender and delicate blade of grass, the warm bark
which keeps the shining power of the sun.
This is why Eleonora’s views are on the Edge:
they oblige the viewer to be at the centre of the story, and stimulate him to
perceive his dozing conscience, knocked out by speed and senselessness of
obsessive consumption. She works out new languages, which are able to turn
dissent into a positive and universal message. Every used material is sipped,
reclaimed and given new life, symbolizing the fact that in nature nothing is
created and nothing is destroyed, as long as we are able to respect that
nature.
The side position enables the author to observe
and narrate in a better way the dynamics of our world. She wants to change them,
but to do that she has to get a big audience involved. We are all invited to
sit in front of the stage of life, with the aim of celebrating a rebirth which
can’t no longer be postponed. This is the only chance for humanity to regain
its time in balance with the wonderful and inimitable
forms of existence that the architect of nature donated to us.
Claudio Franchi
Catalogo in mostra
Testo critico a cura di Claudio Franchi
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